Tratto dal catalogo della mostra SCULPTURES ET DESSINS, Salle Capitulaire Cour Mably, Bordeaux, L’artiere edizionitalia, 1998
Paolo Delle Monache è uno scultore molto personale e diverso, già dai suoi inizi. Non ha l’originalità avventurosa e d’azzardo della giovinezza, ma quella meditata e nativa del talento e della forza poetica. Il soggetto delle sue opere è il tema eterno della scultura, l’immagine dell’uomo; ma la diversità, tutta nuova, oltre la materia, sta soprattutto nel suo modo di ritagliare entro quell’immagine un frammento, e trasformarlo in totale, dandogli una completezza e una finitezza di opera unica e armonica; un braccio ritto sostiene la testa come lo stelo il suo fiore, o ripiegato lo accoglie in uno spazio di riposo: le forme sono allungate, vibranti, longilinee.
Come quasi tutti gli scultori Paolo Delle Monache è anche un disegnatore: ma i suoi disegni non appaiono né preparatori né conseguenti alla scultura: le sono paralleli e, nella loro autonomia, distaccati, se non per quell’andamento longilineo, di sviluppo verso l’alto.
I disegni hanno la freschezza e la vitalità pura di una nascita recente, di una prima apparizione, ma sono meditati, profondi, lenti; hanno una giovane grazia, ma non conoscono l’impazienza della giovinezza. Molto bella è la materia, delicata, sottile, trasparente a volte quasi come un velo, o intensa, addensata, a formare teneri ghorghi d’ombra.
Il segno non è mai unico, isolato; è fuso in una continuità non più segnica, distesa secondo una variabile alternanza ora di spessori ora di leggerezze; essa segue e crea la forma, la sua consistenza plastica, le sue emergenze, le sue luci, le sue velature, i suoi confini. Più che segni, i tratti di materia che segnano l’immagine sembrano fibre: come dice un titolo Fibre di malinconia. Queste figure creano una sequenza che non è monotona; un po’ ossessiva forse nel ripetersi continuamente variato; emergono dal foglio con una forza quasi perentoria, una presenza decisa, e pure sembra che vi siano approdate con una delicatezza di insetti, o di fantasmi; il loro significato nasce tutto nelle profondità. Ho sentito nominare Giacometti; non vedo però veri rapporti o discendenza, se non molto esteriori; forse certe figure più affusolate di Soutine hanno una simile formazione e solitudine. Ma l’autonomia di queste immagini, di queste presenze giovanili solide ed esili, intense e lievi, fissate in una forma come impastata d’aria, trapassata di luce, che posseggono un sentimento un po’ ambiguo di persone vere, quasi ritratti e perfino autoritratti, appare completa. È consolante per noi, e lo sarà per i visitatori, scoprirvi tanta sensibilità, tanta forza di evocazione, e silenziosa poesia.
Parma, 25 settembre 1995