Tratto dal catalogo della mostra METROPOLI, Aska edizioni, 2017
in occasione della mostra alla Ciemmeci Fashion, Torrefino di Empoli
PAOLO DELLE MONACHE. IL LUOGO DELLA SCULTURA
Esiste un legame profondo tra le geografie della memoria e la conformazione del paesaggio italiano, un’affinità che attraversa sovrapposizioni e lacune, ferite e amnesie, rovine tanto cadenti quanto preziose, al punto che nel Settecento si iniziò a costruirne di false nei giardini di mezz’Europa. Sono territori dove la veduta si sovrappone alla visione, dove l’arte del paesaggio compone uno straordinario ponte tra pittura, architettura e poesia. È questo il luogo simbolico – in equilibrio tra l’inconscio e il paesaggio – che abitano le opere di Paolo Delle Monache. I suoi lavori trattano la figura in un “contesto più ampio, cosa che, in scultura, è infinitamente più problematico che in pittura o in altre discipline espressive”, ricorda giustamente Marco Meneguzzo. Lo scultore realizza un’orogenesi della memoria; una sensazione sottile attraversa lo sguardo, i lavori offrono una via capace di aprire un campo mentale, mnemonico, dove i frammenti sembrano affiorare da un sottosuolo costellato di antichi reperti. La figura lascia il campo ad una composizione articolata che si dispone sulla superficie e sfugge alla funzione del monumento, organizzandosi come paesaggio. Gli elementi si compongono e si ripetono secondo le associazioni della memoria, offrendo l’apparizione di stele fragilissime. Fra tutti prevale l’elemento del volto, adagiato al suolo, in cui lo scultore modella l’involucro del pensiero e dell’immaginazione, ne materializza il volume attraverso le tonalità e le vibrazioni delle superfici, in un costante richiamo alla lezione di Arturo Martini.
Per Paolo Delle Monache anche le facciate dei palazzi sono involucri del pensiero, o meglio luoghi di proiezione, schermi dove misurare l’immaginario che circonda l’uomo. Si tratta di una ricerca di astrazione paradossale che nasce dalla frequentazione delle città italiane, dagli edifici storici vissuti e visitati, da un’idea della memoria come esperienza della storia di una comunità. In questi lavori la visione si fa frontale, oggettiva, impone un punto di vista sul reale. Il Rosone annuncia già nel titolo che occuperebbe una posizione più alta, non un monumento a sé stante ma un etereo diaframma architettonico, capace di intercettare la proiezione del paesaggio contemporaneo e di filtrarlo caricandolo di storia. Delle Monache offre una visione etica: solo in questo schermo della memoria può riapparire la figura umana nella sua interezza: così in Archeologia di un’istante, in Serenditipy l’architettura, con il suo valore antropologico offre un riparo che sembra conservare una possibilità per l’uomo, una via per comporre di nuovo un teatro dell’esistenza, una Scenografia della memoria incerta ed enigmatica, dalle reminiscenze metafisiche, ma pur sempre ancora abitabile.